Venerdi, 26 aprile 2024 - ORE:07:30

Dai virus HIV mutanti ecco i primi progetti concreti per il vaccino contro l’AIDS

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Per la prima volta abbiamo realmente compreso che l’evoluzione virale modella gli anticorpi che verranno prodotti. […] Siamo strabiliati.”. Sono queste le prime dichiarazioni rilasciate da Penny Moore e Lynn Morris del Centro di Malattie Infettive del National Health Laboratory Service, con sede a Johannesburg, dopo la pubblicazione della ricerca in data 21 Ottobre 2012. Di fatto i ricercatori sudafricani hanno assistito per la prima volta ad un’evoluzione “previdente” del corredo anticorpale di individui affetti dal virus HIV – 1 – C, non tanto impostata a combattere la generazione virale che ha infettato il soggetto, quanto a distruggere le future generazioni, evolutesi da quei virus che hanno eluso il primo controllo immunitario al momento dell’infezione stessa. Il virus e la sindrome:

Il virus dell’immunodeficienza umana – HIV in sigla – è un retrovirus appartenente al genere lentivirus. Sfrutta il proprio RNA, trasportato nel caratteristico capside, per fare una copia a doppio filamento del proprio DNA e scatenare, con sintomi progressivi e ad insorgenza lentissima – anche nove-dieci anni – , la sindrome da immunodeficienza acquisita o AIDS. Tale sindrome colpisce, come suggerisce il nome, la componente bianca del sangue (precisamente la componente CD 4 positiva, tra cui linfociti T e macrofagi), deputata alla difesa dell’organismo, e comporta una vulnerabilità sempre maggiore a patologie o tumori che un individuo con un corredo immunitario normale supera senza problemi: le conseguenze sono sfortunatamente fatali (qui si parla della fase finale della malattia che viene comunemente definita AIDS).
La molteplicità delle vie note di trasmissione del virus– rapporti sessuali non protetti e trasfusioni di sangue contaminato, ma anche gravidanza, parto ed allattamento al seno da parte di madre infetta – e la sua mutevolezza da un punto di vista strettamente citologico – HIV è uno dei virus più difficili da localizzare per le nostre difese immunitarie, in quanto nasconde agli anticorpi i propri siti di riconoscimento, gli epìtopi, cambiandoli tramite rapide mutazioni genetiche da una generazione all’altra – rendono HIV un virus difficilmente eradicabile insieme alla sindrome che comporta, di non facile prevenzione.

Lo studio di Moore et al. :

Moore ed i suoi colleghi stavano monitorando le condizioni immunologiche di una donna affetta da HIV – 1 – C che aveva superato la fase acuta dell’infezione, il cui sistema immunitario stava dunque approntandosi a rispondere con anticorpi specifici al virus ospite. Il virus HIV ha un aspetto estremamente mutevole, soprattutto a livello della sua superficie esterna, tramite la quale gli anticorpi e i linfociti possono riconoscerlo ed attaccarlo: tale mutevolezza è conseguita tramite una ipervariabilità genetica, con frequenti mutazioni fra una generazione di virus e l’altra, che porta a cambiare spesso una porzione specifica del corredo proteico del virus, ovvero quelle proteine glicosilate (glicoproteine, polipeptidi che espongono sull’estremità volta all’esterno del virus un residuo carboidratico) che permettono o meno il riconoscimento antigene – anticorpo alla base della cosiddetta risposta umorale del sistema immunitario.

Un Vaccino contro l’AIDS

L’avvenimento che ha sconvolto Moore ed il suo team è stata la risposta immunitaria della paziente: essa infatti ha cominciato ad esprimere nuovi anticorpi non analoghi a quegli anticorpi, già in circolo, che hanno tentato di limitare l’infezione da parte del virus, bensì un tipo più “ad ampio raggio”, che generalmente viene espresso in malattie virali croniche, il cui bersaglio esprime un ben preciso zucchero in posizione 332 sul versante esterno della glicoproteina gp120, il quale facilita l’ingresso del virus nelle cellule ospiti CD 4 positive.
Analizzando la composizione delle glicoproteine espresse dalle generazioni molto distanti dalla prima ondata di HIV che infettò la donna, i ricercatori hanno scoperto che il virus, in virtù della sua tendenza a mutare rapidamente, aveva espresso la glicoproteina gp120 glicosilata in posizione 332, ed era dunque bersagliabile da quel tipo di anticorpo “ad ampio raggio” espresso dalla donna, la cui bassa specificità per HIV aveva inizialmente spiazzato il gruppo di ricerca.

Moore e colleghi hanno dunque controllato settanta pazienti affetti da HIV – 1 – C, ritrovando in un terzo di loro una mutazione progressiva nelle generazioni virali riguardante esattamente la stessa glicoproteina. Da questo studio sorgono conclusioni estremamente promettenti per il futuro della prevenzione nei confronti dell’AIDS: se l’organismo è già propenso a sfruttare anticorpi “ ad ampio raggio “ per contrastare generazioni mutanti di HIV potrebbe essere sicuramente d’aiuto somministrare dosi di anticorpi o di fattori stimolanti gli anticorpi del tipo “ad ampio raggio”, magari con range diversi di specificità per permettere una copertura maggiore delle sindromi croniche, al di là della sola sindrome da immunodeficienza acquisita.

Gli studi non verteranno unicamente sull’identificazione degli anticorpi più adeguati per contrastare efficacemente un’infezione di HIV, spiega l’immunologo olandese Hanneke Schuitemaker (che non ha preso parte alla ricerca), ma anche sul “trigger”, l’innesco dei linfociti B, che possono evolvere in diretti produttori di anticorpi (plasmacellule), ma che ricoprono anche funzioni di memorizzazione di precedenti incontri con specifici agenti patogeni, per permettere una più rapida risposta immunitaria in caso di un eventuale incontro successivo ( cellule B della memoria ).

Resta infatti da chiarire come nuovi epitopi di HIV inneschino la produzione di anticorpi diversi da parte degli stessi linfociti B che hanno assistito all’infezione. Qualora invece esistessero altri linfociti B pronti ad entrare in azione al momento giusto, un “ trigger” esogeno potrebbe permettere una risposta immunitaria all’infezione da HIV più tempestiva ed efficace.



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